Artificial Hell: l’arte senza artista

di Francesca Corfidi

La mostra che si terrà al MAXXI a partire dal 21 marzo 2024 espone, per la prima volta, i risultati della ricerca condotta da Riccardo Boccuzzi sull’Inferno di Dante. L’esposizione, articolata in diciannove tavole e ripercorribile nel catalogo edito da UniversItalia e curato dal Prof. Carmelo Occhipinti, si sostanzia nelle immagini prodotte dall’intelligenza artificiale dall’elaborazione delle descrizioni che dei versi della Divina Commedia l’artista fornisce alla macchina.

Se è vero che l’artista rivendica la formulazione dell’input testuale, vero è anche che l’Inferno dantesco è già verbo. La traduzione in parole semplici, capaci di essere comprese dall’IA per la creazione di immagini coerenti al testo trecentesco, non mi sembra altro che l’ennesima manifestazione di incapacità di rapportarsi a prodotti complessi dell’animo umano: neanche l’artista, nella società contemporanea, è più capace di trasformare autonomamente il testo in immagini, procedendo, inversamente al poeta, dalla parola all’immaginazione. L’esigenza di “tradurre” Dante nel linguaggio veloce e immediato delle nuove tecnologie riflette la sempre più diffusa pretesa di giungere al prodotto finale senza sforzo e attesa, dimenticando la forza evocatrice e immaginifica delle parole e della loro disposizione testuale.


Nessuna parafrasi sarà capace di restituire al lettore la stessa sensazione delle parole scelte con estrema perizia dal Sommo Poeta.

Mi sembra che, se si voglia riconoscere il merito di un’operazione creativa a Riccardo Boccuzzi, questa abbia poco a che fare con l’elaborazione di immagini, ma che pertenga, piuttosto, a un tentativo di riscrittura semplificata della prima cantica dantesca; alla redazione di un testo altro di cui, tuttavia, si perde pressoché traccia nel risultato ottenuto. Ritengo, infatti, che un’opera d’arte che si preoccupi di rintracciare un riferimento testuale preciso debba scaturire dalla riflessione dell’artista sul testo stesso, riletto secondo le categorie proprie e del proprio tempo. Nel caso delle immagini artefatte della mostra Artificial Hell questo compito di rielaborazione, tra l’altro non del testo dantesco ma di quello nuovo di Boccuzzi, viene rimesso totalmente all’algoritmo, privo, per sua natura, di sentimento e capacità critica: attributi, a ben vedere, fondamentali e caratterizzanti della figura dell’artista.

Riconoscere qualcosa di simile all’arte nei pannelli disturbanti esposti al MAXXI rischia dunque di condurre la ricerca artistica su un terreno scivoloso, dove diviene estremamente difficile, se non addirittura impossibile, scindere l’arte da ciò che arte non è affatto. Il timore è quello di cadere in un calderone di immagini ripetute e ripetitive, miscugli di informazioni decontestualizzate e depersonalizzate nei quali la voce dell’artista non è che un’eco del passato più vicino, dimentica della sua storia e del suo ruolo sociale.

L’avvento dell’IA ha già posto nuovi e spinosi interrogativi nel mondo dell’arte, ben lontani dal risolversi, ma quello al quale mi sembra più urgente rispondere è se dovremo prima o poi rinunciare al processo creativo intellettuale a favore di quello meccanico e se siamo davvero pronti a umanizzare le macchine e a robotizzare noi stessi.

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